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22 Novembre 2024La Corte di Cassazione, nei mesi scorsi, con la sentenza n. 7178 del 18 marzo 2024, è tornata sul tema dell’azione di arricchimento senza causa nei confronti di una Pubblica Amministrazione, ribadendo come questo sia l’unico rimedio esperibile da un privato per ottenere il pagamento di una prestazione eseguita in assenza di un contratto scritto, qualora non vi siano altre azioni tipiche esercitabili.
La vicenda nasce da una domanda a tale titolo avanzata da un professionista dell’ambito medico dinanzi al Tribunale di Palermo, nei confronti della locale AUSL, al fine di ottenere il pagamento dei compensi ad esso spettanti per un software realizzato su incarico del Direttore Generale, in assenza di un accordo contrattuale.
Il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda di indebito arricchimento, mentre la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la stessa, ritenendo che la prestazione resa rientrasse invece nell’unico rapporto formalmente esistente fra le parti.
La controversia dunque veniva portata dal professionista all’attenzione della Suprema Corte, la quale, nella sua pronuncia, ha in primo luogo rammentato il consolidato principio secondo il quale i rapporti con la PA richiedono, per la loro instaurazione, la forma scritta ad substantiam e di conseguenza le prestazioni ad essi riconducibili devono trovare la loro previsione nel testo di un accordo.
Nella fattispecie esaminata, la realizzazione di un software non rientrava in nessuna delle clausole contenute dal rapporto esistente, essendo anzi, l’oggetto dell’accordo (prestazioni assistenziali), incompatibile con la prestazione alla quale si riferiva la domanda.
La Suprema Corte, inoltre, ha negato che la possibilità, in astratto, del professionista di richiedere eventualmente un risarcimento sulla base della normativa in tema di diritto d’autore precludesse l’esperibilità dell’azione di arricchimento senza causa. A tale proposito, ha sottolineato come presupposto per esercitare quest’ultima sia la mancanza di un’azione tipica, da intendersi non come ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente come quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata.
Da ciò ne consegue che l’azione di arricchimento è esperibile quando l’azione spettante al soggetto danneggiato sia prevista solo da clausole generali, come, ad esempio, quella risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. o come, per l’appunto, l’azione risarcitoria generale prevista dalla legge sul diritto d’autore.
Nel caso specifico, il ricorrente lamentava peraltro non una violazione del diritto d’autore, bensì un inadempimento della PA, pertanto l’azione di cui avrebbe dovuto avvalersi era quella, tipicamente contrattuale, di adempimento ex art. 1453 c.c., ma non essendovi un contratto scritto, tale azione nei confronti della PA gli era preclusa, dovendo quindi necessariamente ricorrere all’azione sussidiaria di arricchimento senza causa.
Sulla base di quest’ultima, pertanto, evidenzia la Corte di Cassazione, al ricorrente spetta un indennizzo determinato in via equitativa, tenendo conto che l’azione di arricchimento non ristora il danneggiato del corrispettivo perduto, ma avendo come obiettivo l’eliminazione di uno squilibrio economico creatosi tra le parti, senza giusta causa, lo compensa per i costi sopportati e lo ristora per il tempo, le energie mentali e fisiche impiegate.
(A cura dell’Avv. Gianmarco Cecconi)